venerdì 28 dicembre 2012

Happy Birthday, Stan Lee!

Okay, io sono sempre stato dalla parte di Jack Kirby, a mio parere il vero genio artistico del duo. E traducendo di recente le storie classiche di Hulk (che sono in edicola proprio in questi mesi) mi sono reso conto di come probabilmente il "Sorridente" avesse più di un ghost writer a sua disposizione. Ma è indubbio che Stan Lee, con le sue intuizioni, in grado di cogliere come in pochi altri casi lo spirito dei tempi, è stato in più di un modo fondamentale per il fumetto americano. Per cui, da appassionato, non posso fare a meno di unirmi al coro di auguri per i suoi 90 anni!


Per celebrare, consiglio di recuperare il bel documentario/intervista del 2002 di Kevin Smith dedicato a lui e alla nascita della Marvel, Stan Lee. Mostri e meraviglie (di cui vi propongo un estratto in cui si parla dell'Uomo Ragno).


Excelsior!

lunedì 24 dicembre 2012

Il racconto di Natale di Auggie Wren

Paul Auster è uno dei miei scrittori contemporanei preferiti. Lo è per tanti motivi, tra i quali quello di fare largo uso di elementi meta-testuali. Lui stesso si inserisce spesso nei suoi racconti. Ce n'è uno, per esempio, che ha scritto nel 1990 per il New York Times. Si intitola Il racconto di Natale di Auggie Wren, e pare che gli sia stato ispirato da un tabaccaio di Brooklyn.
Nel 1995, Auster ha scritto la sceneggiatura del film Smoke di Wayne Wang, ispirata a sua volta da quel racconto scritto pochi anni prima. E lui stesso (interpretato da William Hurt) si è infilato nel lungometraggio, con il nome fittizio di Paul Benjamin.


Smoke è proprio ambientato in una tabaccheria, il cui proprietario, Auggie Wren, impersonato dal grande Harvey Keitel, aiuta Paul Benjamin quando quest'ultimo è in cerca di ispirazione per una storia natalizia da pubblicare sul New York Times. E' proprio con il racconto di Auggie che il film si chiude.


Paul Auster, Harvey Keitel e Tom Waits insieme. Nessun altro racconto di Natale potrebbe emozionarmi così tanto.

martedì 4 dicembre 2012

Io e l'Uomo Ragno su Lo Spazio Bianco

Interrompo il lungo silenzio per segnalare che oggi sono presente sul sito di critica fumettistica Lo Spazio Bianco (e, se non mi sbaglio, nonostante la stima che ho sempre avuto per loro, si tratta della prima volta) con un articolo e un'intervista, entrambi parte di SM50, uno speciale molto interessante messo in piedi dalla redazione per festeggiare il cinquantesimo compleanno dell'Uomo Ragno!


Il primo è una lunga analisi della serie Ultimate Spider-Man dal primo numero fino all'arcinoto avvicendamento tra Peter Parker e Miles Morales. La seconda (realizzata con la fondamentale collaborazione di Davide Occhicone) ha come protagonista Mark Bagley, il disegnatore che ha illustrato il maggior numero di storie della serie (la trovate anche in inglese).
Già che siete lì, ovviamente, non limitatevi a leggere solo i miei articoli, ma girovagate per tutto lo speciale, visto che ci troverete di certo molte cose interessanti.
Buon compleanno, Spidey!

lunedì 10 settembre 2012

Batman: Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Ci sono opere il cui commento positivo è dettato più dal coinvolgimento e da altri fattori emotivi piuttosto che dalla qualità tecnica. Opere che procurano quindi soddisfazione più per i contenuti che per la forma. E Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno è proprio una di queste. Sia chiaro, non stiamo parlando di un film realizzato con i piedi. Semplicemente di un film con pochi difetti, ma evidenti, che finiscono però in secondo piano rispetto alla grandeur messa in scena dal regista Christopher Nolan e dai suoi collaboratori.


Difetti presenti principalmente nella sceneggiatura e nel montaggio, visto che la scansione temporale degli eventi funziona spesso male e che nella trama ci sono un paio di forzature piuttosto evidenti.
Per il resto, si tratta di 165 minuti che scorrono in modo avvincente e appassionante, grazie soprattutto al lavoro sui personaggi. Questo terzo capitolo della trilogia di Nolan, infatti, è molto più corale dei precedenti, incentrati sulla crescita di Batman, il primo, e sul triangolo fra l'Uomo Pipistrello, il Joker e Harvey Dent, il secondo. In questo caso, invece, i comprimari riescono a ritagliarsi molto più spazio. Ed ecco così emergere la figura tormentata del Commissario Gordon, interpretato ancora una volta dal solito, grande, Gary Oldman, accanto al quale non sfigura la new entry Joseph Gordon-Levitt, nei panni del giovane detective John Blake, che quasi, a un certo punto, sembra diventare il vero protagonista della storia.


E poi ci sono i due "cattivi" della situazione, sui quali prima della visione ero piuttosto scettico. In primis perché non mi convinceva il ruolo di Bane come antagonista principale, forse perché memore della sua rappresentazione nel pessimo Batman & Robin di Joel Schumacher, forse perché non si tratta di certo di un personaggio di primo piano, visto come sia sempre risultato avulso dall'universo di Batman più classico, quello popolato dai Joker e dai Due-Facce, personaggi dicktracyani e con una forte spinta psicologica dietro. E invece è proprio questo che gli ha permesso di calarsi benissimo nelle atmosfere costruite da Nolan. In uno scenario alla No Man's Land (saga a fumetti del 1999), Bane diventa un perfetto alfiere dell'anarchia e del caos, tra l'altro molto ben interpretato dal bravo Tom Hardy (che, avendo recitato già in passato ruoli piuttosto "fisici", si trova molto bene a portare sullo schermo un personaggio reso inespressivo dalla maschera), e il perfetto strumento di collegamento con il primo capitolo della trilogia (cosa che a un personaggio con alle spalle una storia e una caratterizzazione più definita non sarebbe riuscita così bene, forse).


Ero prevenuto anche nei confronti di Anne Hathaway, che, pur apprezzando molto fisicamente, non riuscivo a visualizzare bene nel ruolo di Catwoman, per la quale invece avrei preferito una donna più matura e passionale. E anche qui ho dovuto ricredermi. L'universo nolaniano, infatti, più tendente alla fantascienza che al grottesco, è di certo più adatto a una Donna Gatto più conturbante che "porca" (se mi passate il termine). E a renderla tale è anche il costumino vintage, alla Julie Newmar, che indossa (senza contare le numerose inquadrature dalle "spalle", soprattutto quando il personaggio è in moto).
Peccato però che i personaggi siano doppiati tutti piuttosto male, in particolare Bane (dall'attore Filippo Timi), caratterizzato da un tono eccessivamente enfatico ed "effettato" inspiegabilmente lontano da quello della versione originale (in cui la voce è semplicemente quella di un uomo con una mascherata davanti alla bocca).


La cosa che mi ha entusiasmato maggiormente, comunque, è che questo film, per quanto in sé sia molto bello, acquisisce valore se accostato ai due precedenti. Sì, perché fornisce compiutezza all'intera trilogia, cosa alquanto inaspettata se si considerano i prodotti simili precedenti, e fa risaltare ulteriormente il valore di Batman Begins e Il Cavaliere Oscuro (come se ce ne fosse bisogno), visto che mette in chiaro il fatto che ogni episodio di questa saga è un piccolo passo verso il grande finale. Un lungo percorso apprezzabile in ogni sua tappa, ma che si esalta nella sua organicità. Cosa che in nessuna delle trilogie supereroistiche (e forse anche non) precedenti era mai riuscita.
Preso singolarmente, Il Cavaliere Oscuro, tutto superbamente incentrato sul tema del "doppio" e impreziosito da un fantastico Heath Ledger/Joker, è forse il migliore dei tre, ma questo suo seguito non sfigura di certo.

giovedì 12 luglio 2012

Rolling Stones 50

Oggi ricorre il cinquantesimo anniversario dal primo concerto suonato dai Rolling Stones. Era il 12 luglio 1962, al celebre Marquee Club di Londra.


Visto che stiamo parlando del mio gruppo preferito di tutti i tempi (sono rollingstoniano fin dagli 11 anni, credo), vi posto in ordine sparso i miei tre brani preferiti interpretati da Mick Jagger, Keith Richards e soci (lo so, si tratta di scelte banali, ma hanno scritto dei brani talmente incredibili che è inevitabile).




venerdì 29 giugno 2012

Le migliori Italia-Germania della nostra vita

Gary Lineker, attaccante inglese degli anni Ottanta, diverso tempo fa disse: "Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi". E in effetti la Germania è sempre lì, arriva sempre in fondo. Però poi, ogni tanto, incontra l'Italia. E gli azzurri giocano una partita perfetta, come quella di ieri sera.


E' capitato così durante il mondiale messicano del 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico, dove andò in scena quella che poi sarebbe stata definita la "partita del secolo". In campo c'era forse la nazionale italiana più forte di tutti i tempi, per una partita normale fino al novantesimo ma che poi diventò storica ("grazie" all'errore di Gianni Rivera) nei supplementari. Una partita non perfetta ma emozionante. Una partita che molti ricordano in bianco e nero (ma quello fu il primo mondiale trasmesso a colori) e che ha fatto rimanere sveglia fino a notte fonda più di mezza Italia. Dopo quello sforzo, perdemmo poi la finale con l'invincibile Brasile di Pelé, ma a distanza di più di 40 anni, conta davvero poco.


Un'altra partita storica tra Italia e Germania è ovviamente la finale dei mondiali del 1982, giocata al Santiago Bernabeu di Madrid. La partita più significativa di quel "Mundial", in realtà, forse fu quella del girone dei quarti di finale giocata contro il Brasile, con la celebre tripletta segnata da Paolo Rossi, ma la finale contro i tedeschi fu importante perché consacrò la volontà di un gruppo compatto e propose immagini e suoni indimenticabili, come l'urlo di Marco Tardelli, l'esultanza di Sandro Pertini, il "campioni del mondo" recitato tre volte dal telecronista d'allora Nando Martellini.


Nel 2006, invece, il mondiale si giocò proprio in Germania, e il 4 luglio, a Dortmund, andò in scena la seconda semifinale, tra Italia e Germania, ovviamente. I tedeschi erano sicuri di vincere, anche perché al Westfalenstadion non avevano mai perso nella loro storia. Gli azzurri invece erano in crescita e sempre più compatti. E quella partita fu l'apice del mondiale degli italiani, che poi avrebbero vinto in finale contro la Francia. Un po' per il dominio espresso per larghi tratti della partita e in particolare per gli interi supplementari (in cui Marcello Lippi spinse l'Italia all'attacco con cambi azzeccati), un po' per il gol di Fabio Grosso, un gregario più che un campione, arrivato quasi dal nulla, alla fine, quando tutti si aspettavano i calci di rigore. E a rivederlo, mi viene ancora la pelle d'oca. Sì, perché nel 1970 non ero ancora nato, nel 1982 avevo solo due anni. Quindi è quella del 2006 la "mia" Italia-Germania.


E infine c'è la partita di ieri sera a Varsavia, ultimo capitolo, per ora, di questa rivalità che ci dà sempre molte soddisfazioni. Non importa come andrà la finale contro la Spagna di domenica prossima (ma se vinciamo è meglio, ovviamente), perché questa vittoria, giocata alla perfezione dal nostro centrocampo comandato da Andrea Pirlo e suggellata da una prestazione finalmente strepitosa e decisiva di (Super)Mario Balotelli, vale un intero campionato europeo e ci rimarrà forse impressa per sempre nella mente.



sabato 23 giugno 2012

La scomparsa di un Decano (un profilo di Gene Colan)

Nel primo anniversario della scomparsa di Gene Colan, vi propongo l'articolo che lo scorso anno ho scritto per Fumo di China (con qualche ritocchino).


Inimitabile. Se questo aggettivo viene spesso associato ai grandi artisti, ad alcuni di essi calza in maniera migliore. Tra questi possiamo sicuramente annoverare Gene Colan, maestro del fumetto americano che con Jack Kirby e pochi altri negli anni Sessanta diede vita a una rivoluzione grafica che avrebbe stabilito il nuovo standard almeno per i due decenni successivi.
In realtà, quando Colan approdò alla Marvel di Stan Lee, aveva già alle spalle alcuni anni di esperienza. Dopo gli studi artistici, infatti, iniziò subito a lavorare per le case editrici maggiormente attive nell’immediato secondo Dopoguerra, tra cui Timely Comics (poi Atlas, antesignana della Marvel) e DC Comics. Da ragazzo, Colan aveva molto apprezzato la classica striscia Terry and the Pirates di Milton Caniff e fu dunque da lì, e in particolare dai giochi di luci e ombre, che decise di iniziare la propria evoluzione artistica.
Durante gli anni Cinquanta, però, per sua stessa ammissione, il giovane Colan iniziò a guardare con sempre più attenzione a un altro grande autore suo contemporaneo, Reed Crandall, diventato famoso per la sua collaborazione alle testate horror e fantascientifiche della EC Comics. Anche lo stile di Crandall era parecchio influenzato da quello di Caniff, ma più realistico e soprattutto dotato di quella fluidità nella realizzazione delle anatomie da cui Colan avrebbe attinto a piene mani, rendendola una delle sue migliori peculiarità.


La lezione appresa da Crandall gli tornò utile nei primi anni Sessanta, quando Stan Lee lo arruolò per la neonata Marvel, che aveva da poco lanciato sul mercato personaggi come l’Uomo Ragno, Hulk, Thor e tanti altri, che cambiarono radicalmente il mercato e il modo di fare fumetti di supereroi. Messo al lavoro sulle storie di Iron Man per il mensile Tales of Suspense, Colan utilizzò un approccio più espressionista che in passato. In quegli anni infatti il punto di riferimento grafico della casa editrice era il già citato Kirby, che riusciva a dare alle proprie tavole grande efficacia grazie in particolare alle licenze anatomiche da lui prese. E così i corpi rappresentati da Colan, pur eleganti, iniziarono a contorcersi quasi innaturalmente, fornendo un impatto visivo secondo solo a quello offerto dal lavoro di Kirby. Pur avendo l'artista prestato per poco tempo le proprie matite al personaggio, Iron Man trovò finalmente la propria consacrazione grafica.
Colan fu trasferito sulla testata dedicata a Devil, personaggio che fino a quel momento aveva faticato a trovare una propria identità, sospeso com’era tra Batman e l’Uomo Ragno. Il disegnatore però si adattò molto bene al cosiddetto “metodo Marvel di scrittura”: Stan Lee forniva ai propri collaboratori solo un breve canovaccio dei singoli episodi, aggiungendo i dialoghi solo dopo che questi ultimi li avessero sviluppati (più o meno a loro piacimento) in una storia vera e propria. Colan diede quindi un’impronta più seriosa al personaggio, stabilendo quella che sarebbe stata l’atmosfera della serie almeno fino ai primi anni Ottanta. D’altra parte, Colan si legò in modo indissolubile al Diavolo Rosso, tanto da raffigurarne le storie in maniera continuativa per circa un decennio. Non deve quindi stupire se gli abbiano assegnato il soprannome di “Decano”. Il suo stile, caratterizzato anche da un forte contrasto tra luci e ombre, fu fondamentale per rimarcare l’anima tormentata di Devil, diviso tra le sue due carriere: avvocato di giorno, nei panni di Matt Murdock, giustiziere mascherato di notte.
A fine anni Sessanta, Colan lasciò il segno anche sulle testate dedicate ad altri importanti personaggi, come Namor il Sub-Mariner, il Dottor Strange, Capitan Marvel e Capitan America (sulle cui pagine creò, insieme all’immancabile Stan Lee, Falcon, primo supereroe afroamericano della storia del fumetto statunitense), ma per un’ulteriore svolta della sua carriera si dovette attendere l’aprile del 1972, quando uscì il primo numero di The Tomb of Dracula, da lui illustrato su testi di Marv Wolfman.


La Marvel, infatti, in quegli anni cercava di differenziare le tematiche delle proprie testate e quello fu il tentativo più riuscito di trovare uno sbocco nell’horror. Wolfman e Colan realizzarono un lungo ciclo di racconti (ben 70) di altissima qualità, dando vita a un importante sodalizio che sarebbe entrato di diritto nella storia del fumetto. Il disegnatore prese il celebre vampiro creato da Bram Stoker nel 1897 e lo rielaborò in modo peculiare, fornendogli i lineamenti dell’attore Jack Palance. Il suo stile inoltre si fece ancora più oscuro: le grandi campiture di nero sembravano vive e ricoprivano tutto in modo efficace, dando alla serie un’atmosfera tenebrosa come raramente si era visto in precedenza in un fumetto seriale statunitense. Il layout si adattò di pari passo, perdendo in dinamicità, ma guadagnando in mellifluità, con i contorni delle vignette che si facevano spesso fumosi e indistinti. Su The Tomb of Dracula, inoltre, Colan trovò il suo inchiostratore ideale, Tom Palmer, che con le sue pennellate spesse e decise, contribuì ad accrescere la tenebrosità delle storie.
Autore fedele ai personaggi, ma sempre voglioso di nuove sfide, nel 1973 Colan creò con lo sceneggiatore Steve Gerber il personaggio di Howard the Duck (conosciuto in Italia anche come Orestolo il Papero), dimostrando di sapersi adattare mirabilmente anche a storie umoristiche (da lui affrontate con uno stile più grottesco). Una passione mai sopita, se è vero che nel corso dei decenni successivi si sarebbe spesso dedicato a divertissement di questo tipo, disegnando per esempio alcune storie di Archie e persino una storia di 4 pagine per la Walt Disney (Tomb of Goofula) con Topolino e Pippo (parodia del suo Dracula, scritta tra l’altro dal “solito” Wolfman).
Pur non rinunciando al disegno, dagli anni Ottanta Colan diradò la propria collaborazione con la Marvel. Visto il suo stile “oscuro”, il suo approdo sulle testate Batman e Detective Comics dedicate al celebre Uomo Pipistrello della DC fu naturale.
Nonostante gli oltre quarant’anni di carriera, l’autore però non era ancora pago. Dato che il suo tratto non sembrava essere più al passo con i tempi, decise di iniziare a sperimentare nuovi stili di disegno fuori dal mercato mainstream. I suoi fumetti di metà anni Ottanta (la miniserie Nathaniel Dusk con relativo seguito per la DC e alcune storie per la rivista Eclipse dell’omonima casa editrice) furono suggestivamente realizzate in acquerello.


Nel 1989 fece in tempo a produrre l’opera forse più di rilievo del suo decennio: il serial Panther’s Quest, con protagonista Pantera Nera, scritto da Don McGregor e pubblicato sull’antologica Marvel Comics Presents. La sua Africa ricordava la Transilvania disegnata qualche anno prima per l’aria lugubre e oscura che emanava, e la disperazione dei personaggi trasudava dalle pagine (la storia è ambientata in Sudafrica durante l’apartheid). A tal proposito, in un’intervista Wolfman ha dichiarato che Colan era “un disegnatore in grado di infondere in ogni personaggio cuore, anima e fegato. Guardavi il lavoro di Gene e pensavi che fosse reale”.
Da allora in poi, causa anche recenti problemi di salute, Colan ha centellinato i propri lavori. Tra gli anni Novanta e il primo decennio del nuovo secolo, infatti, mentre la sua mano si faceva più incerta, pur mantenendo intatta la classe originaria, è stato perlopiù chiamato per operazioni dal sapore dell’amarcord. Con Wolfman, per esempio, ha realizzato nuove storie di The Tomb of Dracula, una con protagonista Blade (il cacciatore di vampiri da lui creato graficamente anni prima) ed è periodicamente tornato a fare capolino sulla testata di Devil (tra cui 5 storie scritte da Joe Kelly e pubblicate a fine 1997). La Dark Horse l’ha persino chiamato a illustrare una storia di Buffy the Vampire Slayer, considerandolo uno dei migliori artisti di sempre sul tema vampirico.
Il suo ultimo lavoro è stato rappresentativo di tutta la sua carriera. Nel settembre 2009 la Marvel ha infatti pubblicato una storia di Capitan America scritta da Ed Brubaker e disegnata da lui, ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e con vampiri come protagonisti. E Colan non si è limitato a fare il compitino, ma ha tirato fuori una prova di classe, con i colori applicati direttamente sulle sue matite in modo da dare quel senso di opacità tipico delle vecchie foto. La storia, tradotta in italiano come “Sangue rosso, bianco e blu”, ha persino vinto il prestigioso premio Eisner come miglior storia singola.
Una degna conclusione per una grande carriera, interrottasi definitivamente il 23 giugno 2011 all’età di 84 anni. Forse non si può affermare che si tratta di una scomparsa prematura, o che Colan avrebbe potuto partorire ancora molti capolavori, ma siamo certi che la sua cortesia d’altri tempi mancherà molto al fumetto americano.

lunedì 11 giugno 2012

Ipse dixit - Enrico Berlinguer

"Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c'è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia."
Enrico Berlinguer


martedì 5 giugno 2012

Sacro terrore

Negli scorsi mesi si è fatto un gran parlare di Holy Terror, nuovo lavoro a fumetti di Frank Miller (da sempre uno dei miei autori preferiti) rapidamente sbarcato anche in Italia, con il titolo di Sacro terrore, per la Bao Publishing.


Partiamo dalle note positive. Per la prima metà della storia, Miller si è evidentemente impegnato (con successo) per offrire soluzioni grafiche di un certo impatto (grazie a tavole da cui il nero è stato grattato via per ricavare le sagome, come si può notare dall'immagine qui sotto) e anche alcuni passaggi narrativi piuttosto interessanti dal punto di vista tecnico. In queste pagine l'autore americano sembra aver infatti voluto riprendere il discorso artistico messo da parte per realizzare 300 e l'ultimo Sin City ("All'inferno e ritorno"), tornando a sperimentare con il bianco e nero e inserendo solo poche macchie di colore con una funzione iconica e narrativa, più che prettamente grafica.
Nella seconda parte, invece, i bianchi e neri si fanno più netti, Miller inizia a risparmiare sugli sfondi, ma la sintesi grafica rimane buona e ricorda molto da vicino quella di José Muñoz (come già in passato, tra l'altro). Meno apprezzabile, ma a tratti ancora piacevole.
Nelle ultime pagine, però, Miller appare ancora più svogliato: gli sfondi scompaiono del tutto, l'alternanza tra bianchi e neri perde sostanza, il tratto è tirato via in maniera eccessiva, i personaggi diventano macchiette parodistiche fuori luogo (e probabilmente il caro vecchio Frank cerca di citare, in modo però troppo approssimativo, le esagerazioni anatomiche di Jack Kirby) e l'utilizzo del colore diviene un inutile formalismo.


La scelta del formato orizzontale, sebbene permetta all'autore di sbizzarrirsi con inquadrature particolarmente ardite, sembra più un vezzo che una reale necessità. Se per 300 funzionava molto bene, visto che riusciva a dare profondità scenica alla schiera di soldati spartani impegnati in battaglia, qui sembra non avere davvero alcun senso.
A livello narrativo, poi, la storia manca del tutto di pathos e di drammatizzazione (e anche di una trama vera e propria, a dirla tutta). E' solo un grosso pretesto per fare propaganda anti-musulsumana, così come la storia era stata effettivamente presentata. E i dialoghi, asciutti come nella tradizione hard boiled tanto cara a Miller, risultano però sciatti, a eccezione di una o due occasioni, come quella della tavola qui sotto (in italiano il testo è diventato "Ci diamo alla diplomazia postmoderna"... e se questo è il meglio...).


Insomma, nonostante le pessime opinioni che mi erano giunte dagli States e non solo, ho voluto tastare di persona quale fosse la situazione di questo Frank Miller. Perché mi sembrava che l'attenzione fosse stata eccessivamente riposta sull'idea (ridicola, in ogni caso) di realizzare un'opera fascistoide, razzista, di propaganda, più che su forma e sostanza. Purtroppo, però, devo accettare con profonda mestizia che Sacro terrore è davvero una grossa schifezza, che brilla solo a tratti (e neanche tanto).
Non sminuisce ovviamente quanto di eccellente Miller ha fatto in passato, ma di sicuro getta un'ombra oscura sulla possibilità di leggere suoi nuovi capolavori (ero troppo ottimista anche prima, lo so).
So long, Mr. Miller.

mercoledì 30 maggio 2012

E' una questione di sobrietà

"Dedicheremo le sobrie celebrazioni del 2 giugno al ricordo delle vittime del terremoto di questi giorni, al dolore delle famiglie, alla sofferenza delle popolazioni colpite." Parola del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
D'accordo, è tardi per destinare alle zone terremotate dell'Emilia i soldi che ormai sono stati già destinati alla parata militare. Ed è anche vero che, soprattutto in questo clima di tensione politica e sociale, è importante ricordare e celebrare i valori alla base di una Repubblica sempre più tormentata. Però tra questi valori ce n'è anche uno statuito dall'articolo primo della nostra Costituzione: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". 13 delle 17 vittime del terremoto sono operai morti sul luogo di lavoro nelle zone già colpite dal sisma del 20 maggio. Come sottolineato da più parti (e prendo in prestito in particolare le parole espresse da Ezio Mauro su Twitter), queste vittime "dormivano nelle auto, non potevano rientrare nelle loro case: ma sono tornati nei capannoni e sono morti lavorando." Sono da considerare quasi più vittime del lavoro che del terremoto (e l'ha sottolineato anche il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, dicendo la prima cosa sensata da quando è in carica).
Proprio per questo, sarebbe stato forse più consono per Napolitano recarsi, senza ovviamente eccessivi clamori, ma con estrema sobrietà (proprio come piace a lui), nelle tendopoli del modenese, piuttosto che sfilare tra i militari in uniformi sfarzose. Ecco, questa sarebbe stata una vera celebrazione della nostra Repubblica, e un segno "della sua unità, della sua vitalità, della sua forza, della serenità e della fiducia con cui sta affrontando e affronterà le sfide che ha davanti a sé" (ancora parole del Presidente).


E il governo intanto che fa? Piuttosto che tagliare gli sprechi (tra cui anche i costi per il mantenimento e l'ostentazione di un sistema militare inutile), aggiunge accise sul costo della benzina. Nel caso che a qualche terremotato venga in mente di fuggire dal proprio orrore quotidiano in auto. Non sia mai!

giovedì 17 maggio 2012

Chronicle: un film inutile

Ancora cinema, ancora supereroi (più o meno). Chronicle infatti parla di tre ragazzi di un liceo americano che assumono dei superpoteri tramite una misteriosa "cosa" simil-extraterrestre e che non li usano per fare del bene o del male, ma semplicemente per cazzeggiare. Cosa molto realistica, in fin dei conti. Uno spunto carino, anche se non molto originale, per un film però piuttosto inutile.


Ricorda un po' Misfits, la bella serie della BBC, ma senza una trama. Sì, perché negli 83 minuti di film non succede davvero nulla, se non negli ultimi 10 circa. E quello che viene raccontato è di una banalità sconcertante (il ragazzo timido con padre ubriaco e madre malata, il giocatore di football popolarissimo, il casinista che mostra il suo lato gentile per conquistare una ragazza... e poi - piccolo SPOILER - pure il personaggio di colore che muore per primo). E' un film in cui si ha sempre la sensazione sgradevole (considerati gli evidenti propositi di realismo) che le cose succedano perché devono succedere, e che gli eventi, piccoli o grandi, vengano liquidati in maniera grossolana, a partire dall'acquisizione dei poteri da parte dei ragazzi, inspiegata e inspiegabile: i protagonisti non riescono a scoprire nulla su di essi perché il suddetto "coso" si trova su un terreno franabile, su cui non possono mettere piede. Sul serio?
Gli effetti speciali, poi, sono davvero pessimi, soprattutto nella battaglia finale (e sì, perché c'è anche una battaglia finale, ovviamente), in cui si nota quanto siano falsi i personaggi che svolazzano tra i grattacieli di Seattle. Salverei solo una bella scena di volo tra nuvole e aerei.


Il film è girato da Josh Trank come se fosse un documentario (e scopro l'esistenza di un termine apposito: mockumentary). Uno dei protagonisti gira sempre con una telecamera in spalla e quindi la storia è raccontata prevalentemente dal suo punto di vista... e questo ha pienamente senso, considerando che vuole registrare gli eventi straordinari che sta vivendo. E quando lui non ha con sé il suo strumento, ce ne sono altri pronti: prevalentemente telecamere di sicurezza, ma anche personaggi femminili inseriti a forza che filmano tutto per il proprio blog. Ogni tanto, però, questo gioco stilistico si perde incomprensibilmente, e in alcune scene non c'è traccia di alcuna videocamera, anche se per poco.
Una pellicola che probabilmente vuole sfruttare il fenomeno dei supereroi al cinema senza pagare diritti per properties già esistenti. Ma anche una pellicola da evitare, senza dubbio!


P.S. La sceneggiatura è di Max Landis, figlio di John. Il che dimostra che, probabilmente, il talento non è ereditario (anche se un solo film è poco per poter giudicare bene).

giovedì 10 maggio 2012

Diaz - Don't clean up this blood

Diaz - Don't clean up this blood di Daniele Vicari è davvero un pugno nello stomaco! Probabilmente non racconta nulla che non sia già stato scritto o detto, ma un conto è leggere o sentire i racconti di certe vicende, un conto è vederle rappresentate.


Non è tanto per le scene più "splatter", poche, quanto per la crudezza del racconto, che ti spinge a chiederti quanto di quello messo in scena sia reale o romanzato, tra situazioni surreali e dialoghi allucinanti. E purtroppo è tutto vero, ben documentato e ripreso dai verbali dei processi riguardanti i fatti avvenuti nella scuola Diaz e nella caserma del Bolzaneto durante e dopo il G8 di Genova del 2001, dove manifestanti, giornalisti e avventori occasionali subirono vere e proprie torture.
Nonostante il realismo del racconto, Diaz rimane comunque più film che documentario, grazie alle microstorie di tanti personaggi (inventati) inseriti nel contesto storico, che contribuiscono anche a dare una maggiore profondità emotiva al lungometraggio.


Prima di vederlo, in effetti, mi chiedevo a cosa potesse servire un film rivolto probabilmente quasi solo a chi quelle vicende le conosceva già, ma Diaz si offre principalmente come un'opera di intrattenimento e non documentativa. Un'opera realistica, disturbante, che richiede molta attenzione, certo, ma che appassiona e che non annoia mai, nonostante le due ore abbondanti.
L'unico difetto che mi viene in mente (ma ce ne saranno sicuramente altri, magari dal punto di vista tecnico, che non sono stato in grado di notare) è quello di aver voluto mettere troppo in risalto il lato umano dei singoli poliziotti, con i loro pregi e difetti, pur nella loro mostruosità, mettendoli in primo piano rispetto agli altri personaggi. Un modo, forse, per cercare di mitigare possibili polemiche (che in effetti non sono mancate).


venerdì 4 maggio 2012

Ipse Dixit - Yoda

"No! Provare no. Fare, o non fare. Non c'è provare."
Yoda, da L'Impero colpisce ancora


mercoledì 2 maggio 2012

In gita a Paperopoli

Ieri, camminando camminando, mi sono all'improvviso ritrovato nella celebre città di Paperino e Paperoga, ma senza essere in Francia o in Florida. Ecco una prova evidente!


lunedì 30 aprile 2012

Berlusconi, le donne e le sit-com

L'avevo già fatto notare una prima volta poco meno di un anno fa. Silvio Berlusconi, cone le sue vicende "extra-parlamentari", ha fatto il giro del mondo ed è entrato a far parte dell'immaginario collettivo (non necessariamente colto) in particolare degli americani, che inseriscono battute su di lui anche nelle sit-com più popolari, quelle che di solito offrono battute facili facili.


Alcuni giorni fa è (ri)capitato in New Girl, serial della Fox con protagonista la carinissima Zooey Deschanel, che in una scena avverte un suo coinquilino di non portare a casa minorenni come al solito, aprostrofandolo, appunto, "Berlusconi".


Tra qualche mese vedremo che effetto avranno fatto oltreoceano le dichiarazioni di Berlusconi sulle gare di burlesque.

venerdì 27 aprile 2012

The Avengers: recensione critica

Dopo la recensione nerd (necessaria per un film del genere), provo a dire la mia sul film dei Vendicatori con maggiore spirito critico. Rimane intatto, ovviamente, il giudizio positivo sul film, ben scritto e mai noioso, che viaggia a metà strada tra la versione classica del gruppo e quella "estrema" degli Ultimates. Insomma, si tratta davvero di un buon film d'azione e di certo di uno dei migliori film di supereroi, se non altro per la quantità di materiale offerto con un'unica pellicola.


Certo non si tratta di un film esente da difetti. Pur essendo attenta ai particolari (soprattutto nell coreografie delle battaglie), la sceneggiatura presenta alcune forzature e un paio di passaggi non ben spiegati, che lasciano un po' perplessi. E anche la risoluzione finale risulta un po' fiacca, nella sua estrema semplicità.
Però, al tempo stesso, lo script garantisce un'invidiabile armonia tra momenti drammatici e comici, tra scene d'azione e di riflessione, facendo tenere un ottimo ritmo al film e non annoiando mai lo spettatore. In particolare, la grande battaglia finale è un crescendo di emozioni (pur senza un apice all'altezza, come detto), in cui le coreografie entusiasmano nella loro chiarezza e linearità (cosa non scontata, con così tanti personaggi in scena). Inoltre, nel complesso, non era per nulla facile riuscire a garantire una buona caratterizzazione di tutti i personaggi, vista la grande quantità. E invece a Joss Whedon e soci bastano poche scene e poche battute per definirli al meglio e presentarli in modo esaustivo ma senza ridondanza per chi avesse già visto i cinque film precedenti.


Quelli che ne beneficiano di più sono i personaggi che erano stati caratterizzati in modo più approssimativo nei "prequel", ovvero Capitan America (che nonostante l'orrido costume fuga ogni dubbio sulla sua leadership), la Vedova Nera e Occhio di Falco (per quest'ultimo, in particolare, è stato ritagliato un ruolo appropriato nella prima metà di pellicola che gli ha permesso di non rimanere schiacciato dai pezzi grossi). Tony Stark/Robert Downey Jr., invece, è talmente rodato che brilla già di suo, mentre Thor è l'unico personaggio forse un po' in ombra.
Una menzione particolare la merita Mark Ruffalo, chiamato a intepretare ben due ruoli, quello di Bruce Banner (un uomo tormentato sempre sul punto di esplodere) e quello di Hulk (un gigante furioso in motion capture). Il suo risulta uno degli Hulk più convincenti di tutti i tempi, anche quando si ritrova protagonista di alcuni siparietti comici.


Per tutti i fan dei personaggi, poi, The Avengers riserva più di una sopresa e davvero tante emozioni, dal primo all'ultimo minuto. Anzi, anche dopo, grazie all'ormai immancabile scena posizionata dopo i titoli di coda, che garantisce trepidazione sicura in attesa del sequel, anche se prima ci saranno Iron Man 3, Thor 2, Capitan America 2 e chissà che altro. Questo anche grazie a effetti speciali non straordinari ma efficaci e nonostante una colonna sonora non particolarmente epica.
Due perplessità, infine: la prima è legata al 3D, che mi è sembrato inutile e mal realizzato, nonostante le mie scarse competenze in materia; la seconda riguarda traduzione e doppiaggio, tutt'altro che di ottima fattura (ho notato un paio di errori linguistici e inoltre temo che abbiano anche mancato alcuni false friend).

giovedì 26 aprile 2012

The Avengers: recensione nerd

OMG! Credo che The Avengers sia il miglior film di supereroi di tutti tempi! Epico, divertente, emozionante, da brividi lungo la schiena!


Un film leggendario e mai noioso, in cui i personaggi parlano e agiscono proprio come le loro controparti di carta (in particolare Capitan America, carismatico e fuori dal tempo, ben interpretato da un finalmente convincente Chris Evans), e che strizza in continuazione l'occhio ai fan della serie a fumetti. Il regista Joss Whedon (grande fan degli X-Men, di cui ha anche scritto un ciclo di episodi) e gli sceneggiatori dimostrano di conoscere le storie dei più potenti eroi della Terra, con citazioni dalla loro primissima avventura (firmata da Stan Lee e Jack Kirby), ma anche dagli Ultimates (i Vendicatori alternativi) di Mark Millar e Bryan Hitch (a partire dai Chitauri, che tuttavia risultano parecchio trasfigurati).
Una citazione particolare per le due protagoniste femminili del film: Scarlett Johansson, che ha interpretato una Vedova Nera meno seducente ma meglio caratterizzata rispetto a Iron Man 2, e soprattutto Cobie Smulders, la Robin Scherbatsky di How I Met Your Mother (la migliore sit-com di sempre) nei panni di Maria Hill, uno degli agenti dello S.H.I.E.L.D.
Peccato solo per un'inspiegabile scelta di traduzione: il titolo del film è rimasto "The Avengers", come in originale, e ci può stare, soprattutto se nel corso di esso si parla anche di "progetto Avengers". Però allora i protagonisti perché si autodefiniscono "Vendicatori"?
Dopo l'immagine, i tre momenti da pelle d'oca che secondo me regala questo film. SPOILER ALERT per chi non l'ha ancora visto!


1. Capitan (e non Captain) America che si mette a dare ordini al gruppo... Hulk compreso! In poche battute, nonostante l'orrido costume, Cap raggiunge uno spessore caratteriale che gli era mancato in tutto un intero film a lui dedicato.

2. L'apparizione di Thanos nella consueta scena post-titoli di coda (anche se io avevo già immaginato, durante il film, che sarebbe stato proprio lui il villain misterioso che si nasconde dietro a Loki).

3. Iron Man che, durante la battaglia contro i Chitauri in piena New York, fa rimbalzare i raggi repulsori sullo scudo di Capitan America... momento clou dello scontro finale (insieme a un'epica battuta proferita da Bruce Banner appena prima di trasformarsi in Hulk ed entrare in azione: "Io sono sempre arrabbiato").

E ora... aspettiamo con ancora maggiore trapidazione The Avengers 2, no?

P.S. Possibile che non si siano ricordati di far gridare a Capitan America, nemmeno nella battaglia finale, un "Vendicatori uniti"?

giovedì 19 aprile 2012

C'è un nuovo Spider-Man in città

Arrivo in ritardo come sempre, lo so. Solo ieri sera son riuscito a leggere il primo numero di New Ultimate Spider-Man della Panini Comics, contenente le prime due storie con protagonista il nuovo Uomo Ragno di colore, Miles Morales, che ha sostituito il deceduto Peter Parker nell'universo alternativo Ultimate e tanto ha fatto discutere pochi mesi fa negli Stati Uniti e in Italia.


Quella del personaggio di colore è chiaramente una scelta commerciale, più che narrativa. Non potendo spremere più di tanto il Peter Parker originale (come cercato di fare, in parte, con One More Day), già la Marvel e Brian Michael Bendis avevano provato, un paio d'anni fa, a dare un taglio più "giovanile" alla sua versione Ultimate, anche con uno stile di disegno tendente al manga, ma con risultati non eccezionali. Le storie in questione, infatti, risultato tra le più fiacche della lunga gestione di Bendis sulla collana.
Allora la Marvel ha pensato bene di provare a cogliere due piccioni con una fava: cercare risalto mediatico con la morte di Peter Parker (obiettivo ampiamente raggiunto) e magari raccogliere qualche nuovo lettore con il nuovo Spider-Man, appunto, Miles Morales, teen ager forse ancora più giovane del personaggio creato da Stan Lee nel 1962 e, soprattutto, con padre afroamericano e madre ispanica.


Forse al pubblico italiano la questione colpirà di più, visto che la nostra non è ancora una società compiutamente multi-etnica, ma uno Spider-Man di colore potrebbe oggi essere parecchio credibile, visto che negli Stati Uniti le minoranze non sono più così tanto... minoranze, appunto. Se un ragno radioattivo mordesse davvero un ragazzo a caso, in effetti, ci sarebbero buone probabilità che il soggetto in questione sia portoricano, messicano o, appunto, afroamericano. Poi, probabilmente, per questa decisione ha avuto un ruolo importante anche la presenza, alla Casa Bianca, di un presidente di colore, Barack Obama.
Operazione di marketing, quindi, ma ben supportata da una storia di buonissima fattura. Mentre sulle varie serie dei Vendicatori Bendis è poco costante, su Ultimate Spider-Man ha sempre svolto un lavoro egregio, dimostrando di trovarsi particolarmente in sintonia con personaggi e ambientazioni. E queste prime due storie del nuovo corso confermano tale feeling, nonostante il cambiamento radicale. Le storie sono brillanti e raccontano la realtà contemporanea con particolare realismo, svecchiando il mito di Spider-Man pur senza tradirne lo spirito originario (anzi, ripristinandolo). E poi Miles è un personaggio a cui sarà probabilmente facile affezionarsi.
La serie parla infatti un linguaggio moderno e potrebbe di certo attirare un pubblico più giovane di quello dei classici fumetti di supereroi... perlomeno negli States.


A contribuire all'ottima riuscita sono stati senz'altro anche i disegni di Sara Pichelli (italiana, sì), creatrice grafica dei personaggi (e del nuovo costume, che adoro), a cui si devono il disegno qui sopra e il primo piano di Miles Morales più su (la copertina in alto invece è dell'altrettanto bravo Kaare Andrews). Sara è molto brava nel caratterizzare i personaggi e nel farli recitare, mettendo in scena al tempo stesso tavole dalla regia mai monotona, qualità che risalta ancora di più in questi primi episodi in cui il protagonista è ancora privo di costume. Vedremo come se la caverà quando sarà l'azione a farla da padrona.
In un periodo in cui le storie di supereroi mi stanno un po' stancando, la freschezza di questa serie potrebbe davvero concedermi un bel sollievo!

lunedì 16 aprile 2012

Aspettando The Avengers (il film) #5

Il momento si avvicina, e io sono ufficialmente pronto: ho preso il biglietto per l'anteprima del 24 aprile!


A proposito invece di cose divertenti, mi è piaciuto molto questo mash up tra The Avengers e Friends, sit-com degli anni Novanta tanto cara a tanti (tra cui il sottoscritto).


E c'è anche un magnifico montaggio con I'll Be There For You dei Rembrandts, in stile Friends, appunto!


Per quanto riguarda il film vero e proprio, tra spot, trailer, clip e featurette, credo che ormai abbiamo già visto l'intero film. Vi propongo i video per me più interessanti, con due scene vere e proprio (casualmente incentrate sui due personaggi femminili... la seconda è in americano ed è tratta dal David Letterman Show).



Puff! Pant! Ci siamo quasi!

venerdì 6 aprile 2012

Capitan Padania no more?

Roberto Maroni ce l'ha fatta. Dopo anni di tentativi, finalmente è riuscito a spodestare Umberto Bossi dalla guida della Lega Nord con l'ausilio di uno scandalo come quelli in cui vengono coinvolti i politici veri. Con la caduta del Senatùr avrà forse termine anche la sua politica celodurista, a base di dita medie e canottiere.


Trovo curioso che proprio pochi giorni fa era riemerso un albo a fumetti (scansionato e diffuso in rete) di una decina d'anni fa, con protagonista Capitan Padania, l'eroe del Carroccio ispirato ad Alberto da Giussano.


No, non sto scherzando, è una roba vera e seria, nemmeno una parodia. Si tratta di un albetto davvero becero (e ovviamente propagandista), disegnato male e scritto peggio. E' sufficiente vedere qual è il nemico principale di Capitan Padania per capire il tenore di questa storia: Rimbambul il Super-Turco!


E tra i co-protagonisti della storia (che, se proprio ci tenete, potete scaricare da qui) ci sono anche lo stesso Bossi e il suo delfino Roberto Calderoli (anche lui implicato nello scandalo... con quella faccia, chi l'avrebbe mai detto che avrebbe potuto compiere una "furbata" così?).


L'epoca d'oro della Lega sarà davvero giunta al termine? La nuova direzione del partito riuscirà a ottenere gli stessi strabilianti risultati del passato? Oppure dovremo dire addio per sempre a Capitan Padania?

giovedì 5 aprile 2012

Aspettando The Avengers (il film) #4

Sono sempre stato appassionato di Lego, in particolar modo dell'utilizzo creativo che spesso ne viene fatto (come ho già avuto modo di raccontare anni fa). Ho accolto con un sorriso quindi la locandina del film dei Vendicatori ripensata in stile Lego.


In più, la Lego ha creato una serie di giocattoli ispirati ai personaggi del film. Sono talmente carini che mi viene voglia di collezionarli, anche se non sono un fan di action figure e roba varia (e speriamo che ne facciano anche un videogioco, come già avvenuto per Batman e tanti altri).


Nonostante il costume del film faccia schifo, tra questi il mio preferito è Capitan America, che è stato anche dotato di una moto.


Tornando al film vero e proprio, qualche giorno fa è stato diffuso un nuovo trailer... proveniente dall'est Europa, credo dalla Polonia (se qualcuno può confermarlo o smentirlo, che faccia pure), che mostra alcune scene finora inedite. Questo trailer è incentrato soprattutto sulla Vedova Nera... forse perché è nata nell'ex-Unione Sovietica?


A quanto pare, invece, hanno preparato un trailer per ognuno dei personaggi principali, ma credo che questo sia l'unico con scene nuove.

lunedì 2 aprile 2012

Rodolfo Cimino e i racconti attorno al fuoco

Dalla metà di gennaio circa avevo una bozza quasi pronta da pubblicare, iniziata dopo aver letto il volume dei Tesori Disney con la saga Nonna Papera e i racconti attorno al fuoco di Rodolfo Cimino, ma mai terminata per svariati motivi (un po' mancanza di tempo, un po' altre "urgenze" varie da pubblicare).
Vista la scomparsa (il 31 marzo) di quello che è stato considerato come uno dei più grandi scrittori umoristici del fumetto italiano, Cimino appunto, recupero e porto a termine quel post, modificandolo solo leggermente.


Avevo letto le storie raccolte in questo volume già all'epoca della loro pubblicazione originaria su Topolino, quando ero ancora un bimbetto, e le ricordavo davvero piuttosto bene (cosa rara). Segno probabilmente dell'originalità di queste storie, che fanno capire quanto Cimino fosse uno sceneggiatore furbo (oltre che bravo). Dato che non è possibile mettere i paperi e topi disneyani in alcune situazioni particolari, allora perchè non inventare appositi personaggi, in apposite storie, pur incastrate nell'universo di Paperino e compagni?
Le storie che Nonnna Papera racconta al suo parentame parlano così di amori lunghi una vita (con i protagonisti che invecchiano), di affondamenti (con presunti morti) e via dicendo. Un escamotage narrativo ben congegnato, insomma.
Speriamo che da qualche parte (in un secondo volume dei Tesori Disney?) possano spuntare anche le storie successive del ciclo che non sono entrate in questo bel cartonato, perché all'epoca, ormai cresciuto, avevo poi abbandonato la lettura settimanale di Topolino e quindi non le ho mai lette.


Questo qui sopra è il bel frontespizio che il forum del Papersera ha dedicato allo scomparso sceneggiatore veneziano.
Per un ricordo più articolato e un'analisi più approfondita dell'opera complessiva di Cimino, invece, visto che arrivo ultimo, mi limito a linkare quanto già scritto da gente più autorevole e preparata di me: Matteo Stefanelli, Roberto Gagnor e Luca Boschi (cliccate sui nomi per leggere i rispettivi articoli).